DIARIO VIRUS SETTE
Da
lunedì 4 Maggio primo leggero allentamento della stretta sulle uscite, anche se
dovrebbero cambiare di poco le precauzioni, anzi si dovrebbero maggiormente
aumentare considerando che in giro ci saranno più persone. Prima settimana
“tranquilla” senza la sensazione che uscire di casa significasse “rubare”
qualcosa a non si sa bene chi. Ci sono state le belle giornate anche se oggi lunedì
11 Maggio siamo ritornati nella pioggia e nel tempo umido. Si percepisce
chiaramente, come succede a chi vi scrive, che le persone hanno il
desiderio di stare fuori, magari di affollarsi davanti ad un bar per prendere
un caffè in piedi fuori dall’ingresso, ma anche questo è la nuova vita. Il bar
con il suo bancone e lo zucchero nei contenitori, con gli “stuzzichini” all’ora
dell’aperitivo resterà per molto tempo un ricordo. Ma anche gli esercizi
commerciali debbono iniziare ad essere aperti, per dare un piccolo servizio, un
segnale di normalità e mettere qualche euro in tasca, dopo mesi di fame. Si
capisce ora sin troppo bene che più si tengono chiuse le attività e più la
crisi sarà profonda e prolungata nel tempo. Si vive la città in modo diverso,
quasi a schivare le persone che si incontrano per timore di passare troppo “da
vicino”.Si capisce che di questo virus si sa sempre troppo poco, non si conosce
bene come si possa espandere e dove si annidi. Potrebbe essere dappertutto, su
ogni cosa, su ogni superficie, su ogni oggetto che si porta in casa. Si
dovrebbe disinfettare sempre tutto, ma i materiali necessari a farlo
scarseggiano e poi sembra tutto una catena senza fine. Tocco questa cosa e
pulisco le mani, poi debbo togliere i guanti e devo farlo in un certo modo
altrimenti rischio, poi i guanti tolti li debbo buttare con un qualche
accorgimento e lavarmi le mani bene bene con il sapone almeno cento volte al
giorno. Ora posso correre o camminare con più libertà, ma la benedetta
mascherina se non sono incosciente la devo sempre tenere a portata di mano ed
anche la mescherina ha tutto un suo “credo”, un suo modo di essere gestita. Ci
si riuscirà a fare tutto per bene, ma a farlo tutti? Non credo sia possibile
per poca volontà o per distrazione. E torna l’assillo che ci accompagna nella
quotidianità, l’assillo che ha sostituito la socialità, la quotidianità dei
gesti ripetuti inconsapevolmente dalla nostra nascita e che ora debbono mutare.
Di feste ne abbiamo già passate un bel po, ma non erano mica feste, non erano
il piacere di godersi la giornata, il sole primaverile, l’aria aperta, gli
spazi e le persone. Certamente si fa meno attenzione a quello che i media ci
propinano giornalmente, trasmettendoci sempre preoccupazioni e poche certezze.
Si scopre che il virus veniva da noi forse già in Ottobre 2019 portato dalle
Olimpiadi Militari che proprio in Cina e proprio nel luogo origine dei contagi
si svolsero. Combinazioni del destino e altra combinazione del destino non si
fece caso, allora, alle molte polmoniti che gli atleti accusarono al loro
ritorno sia da noi che nel resto del mondo. Non si comprese quello che oggi
tragicamente appare evidente e non si pensò di ricercare la causa di quelle
patologie. Lo abbiamo scritto nel Diario del virus che
“forse ti abbiamo scoperto”, sappiamo come ci sei arrivato, ma oggi dobbiamo
chiudere la pagina dicendo che la cosa non ci consola affatto. Pier Marco Gallo
DIARIO VIRUS
Sono
ormai quarantasette i giorni di “prigionia volontaria” ad oggi lunedì 27 Aprile.
Ha visto la luce nella serata di domenica il DPCM che ci si sperava potesse aprire un qualche
spiraglio, almeno alle attività “singole” all’aria aperta. Per chi scrive, come
per tanti altri la “fase due” contenuta in ben 70 pagine, si è rivelata al
massimo una ”fase 1a” con ben poche novità e la convinzione che “sarà ancora
lunga”. Non cambiano molto le nostre giornate, si sta in casa, si fa un po di
attività fisica nei limiti del possibile, si vedono persone che portano in giro
i cani, beati loro, a tanta gente che di passo svelto, va o torna dalla spesa. Vita
sociale diretta zero, anzi nelle rarissime uscite, tre complessive nell’intero
periodo, per necessità urgenti ed a breve raggio, si evitano accuratamente le
persone, quasi fossero dei nemici. Ma è così e si crede che lo sarà per molto
tempo ancora. Però il pensiero più angoscioso, dopo la paura del contagio, è
quello della nostra economia e del nostro futuro, che per molti, specie i
piccoli commercianti ed artigiani non sarà davvero roseo. Adesso si potranno
andare a trovare i parenti, ma per fare che? Per vedere le mascherine? Anche
prendere un caffè in casa d’altri potrebbe costituire un pericolo ed allora si
potrà continuare a sentirci al telefono o sui social, come da tempo. Se
qualcuna delle grandi industrie potrà aprire sarà un bene, ma i “piccoli”
saranno le vere vittime del “corona”. Ci immaginiamo, davanti alla tv, degli
scenari poco lusinghieri, ci addolorano le tante case di cura divenute palazzi
di morte, ci addolorano i medici, gli infermieri, i farmacisti che sono morti
cercando di salvarci, che sono morti perché questo nemico prima si conosceva
poco ed ora, spesso, lo si affronta non ad armi pari. Ci si comincia a rendere
conto della gravità della situazione, della mancanza delle cose più banali ed
elementari, come attraversare la piazza del mercato piena di gente e di banchi
il martedì o il venerdì. Ci mancano le file delle auto, i “camioncini” che nei
giorni di mercato affollano i cortili della caserma, cortili che ora abbondano
di posti auto. Ci consola il pensiero che dal 4 Maggio, lunedì’, almeno potremo
uscire a fare una passeggiata, stando lontani da tutti, ma sempre felici di
respirare aria di fuori. Ci consola il fatto che almeno potremo muoverci, ma
per il resto è tutto come prima come da quell’ 8 Marzo che negli anni dovrà
essere ricordato con timore. L’8 Marzo da sempre, pensiamo, è stata una bella
giornata, la “Festa della Donna”; una giornata di gentilezza verso mogli,
compagne, fidanzate, amiche. Una giornata nella quale in città si aggiravano
persone provenienti da un altro continente e che volevano venderti la mimosa,
per fare qualche soldo. Magari si prendeva e si portava a casa con un sorriso.
Ora quel sorriso, ogni mattina al risveglio, si riserva alle persone care che
vivono con noi, felici di stare bene. Quindi quando tutto sarà passato, cosa
resterà del giorno 8 Marzo? La Festa della donna o l’inizio di un incubo?
Poi
ci sono anche i timori per i controlli perché qualsiasi cosa si faccia stando
fuori potrebbe non essere lecita e sanzionata, come pare sia già accaduto per
qualche persona che, ma sarà una leggenda metropolitana, si era recata in
farmacia senza avere la ricetta o aveva i capelli troppo in ordine con il
dubbio che si fosse recata o fatto venire a casa il barbiere o la parrucchiera.
Non saranno cose vere, ma si dicono. Ci restano i social e la tv. Niente sport
perché non ci sono competizioni ed allora si rivede la famosa Italia Germania 4
a 3, si rivedono le gare ciclistiche dei tempi andati. Si rivedono programmi
con il pubblico presente e con la scritta “registrata prima del 8 Marzo”. Siamo
ancora fiduciosi che il vecchio mondo ritornerà, anche se in maniera diversa e
non sarà mai più lo stesso. Noi la vediamo così, con un pizzico di rimpianto ed
una discreta dose di pessimismo. Ma anche con la convinzione che ci si era,
forse, spinti un po troppo oltre.
Pier Marco Gallo
I MARINAI PIANGONO EUGENIO DORO
E’
mancato poco prima del 25 Aprile uno dei decani del Gruppo dei Marinai acquesi,
Eugenio Doro classe 1933. Con l’attuale stato di cose non è stato possibile
assistere, alla cerimonia funebre della cremazione e neppure salutarlo con la
recita della Preghiera del Marinaio. Eugenio Doro Marinaio Effettivo, aveva per
anni navigato nella Marina Mercantile e poi, rientrato a “terra” aveva tenuto
per anni il panificio pasticceria di via Crenna. Sempre gentile e disponibile,
nato a Camogli, località alla quale era legato da un profondo attaccamento,
Eugenio aveva ricoperto diversi incarichi nell’Associazione e fino a pochi anni fa era stato il
portabandiera “l’Alfiere” nelle cerimonie Ufficiali. Il Presidente del Gruppo
Cav. Pier Marco Gallo il Consiglio Direttivo e tutti i Soci porgono alla
famiglia sentite condoglianze.
DIARIO VIRUS
Sono
quarantuno i giorni di “prigionia volontaria” ad oggi martedì 21 Aprile.
Quarantuno giorni che sono stati regalati al vento, ad una vita nuova che non
c’è, quella del D.V.(dopo virus).Del passato ci si accorge non è restato nulla.
Si sente parlare solo di coronavirus di task force, di smart work, di look
down. Le belle parole della nostra lingua italiana non si usano a pro di un
linguaggio che “fa più effetto”. Poi nella realtà si fatica e non poco a
trovare dei guanti, dei presidi che servono per gli anziani, dei disinfettanti,
dell’alcool, a dispetto delle mille task force. Ci si sente isolati, privati di
un bene che era la libertà di movimento, privazione dettata da regole che non
sempre sono chiare e che non sempre corrispondono ad una logica
comprensibilmente applicabile. Si vieta di andare da soli a lavorare un pezzo
di terra, ma si consente di passeggiare tranquillamente in città, nei pressi o
meno della propria abitazione con un quadrupede al guinzaglio, felice, beato lui,
di tanta attenzione e di tanto movimento. Si parla di fase due, l’apertura
parziale delle attività commerciali, ma si capisce subito che tranne quelle
realtà che dispongono di ampi spazi e di solidità economica, per quasi tutti
gli altri non ci sarà spazio vitale, non sarà possibile mettere in atto le
procedure di sicurezza richieste. Si pensa a tutto questo, mentre in tv
scorrono le notizie dei quotidiani, di varia colorazione politica e di varia
tendenza. Versioni contrastanti dello stesso fenomeno visualizzato da ottiche
diverse. Il bicchiere diventa a volte baldanzosamente mezzo pieno ed a volte
tragicamente mezzo vuoto, ma l’acqua al suo interno è sempre la stessa. Ecco in
fondo cosa ci preoccupa: un paese, che come la vita sociale, sta divenendo evanescente,
sta divenendo un insieme di realtà non coordinate tra di loro, sia che si
faccia bene, sia che si faccia meno bene.”Del doman non c’è certezza”
recitavano dei versi che ci insegnavano in letteratura italiana alle medie ed
anche alle superiori. Mai frase fu più veritiera, ce ne rendiamo conto in
queste lunghe giornate di isolamento volontario, da persone sane che sperano di
sfuggire alla pandemia. Ci si muove in casa, si cammina sul balcone grande o
piccolo che sia, si organizzano le giornate quasi sempre allo stesso modo
perché la casa è sempre quella e le persone con le quali viviamo idem, con i
pregi ed i difetti di sempre, ma con una sempre minore capacità di reazione
agli eventi esterni, meno capacità di sopportazione. E poi ci saranno le app
per sapere dove andiamo, chi incontriamo. Il tutto più o meno nel rispetto
della privacy. Ma proprio tutti hanno un cellulare idoneo a ricevere le app. No
non proprio tutti anzi, molti meno di quanto si creda. Ed allora queste persone
saranno lasciate a casa, in prigionia perenne perché sono anziani o non hanno
la app?Ci siamo convinti che ,scrivendo e poi scorrendo i giorni passati le pagine del nostro diario, le problematiche
saranno altre, saranno la miseria quella vera, quella che ti si aggrappa addosso
perché non ci saranno disponibili neppure i pochi euro per comprare da mangiare.
Come faranno a risorgere bar, ristoranti, pizzerie relegate in spazi angusti,
con i tavoli che quasi si toccano? Ci serviranno caffè, cappuccini o pizze
sulla porta del locale, da consumare in piedi con guanti e mascherina? E chi ce
lo farà fare? Poi verranno le spiagge, il mare, il nostro bel mare o la
montagna con i suoi rifugi stretti in spazi angusti e spartani. Come faremo? Ed
i treni, gli autobus, le metropolitane, gli aerei. Tutti mezzi concepiti per il
trasporto concentrato di persone. Sarà questo il vero dramma, la vera “spada di
damocle” sulla testa di ognuno di noi. Sul nostro diario al giorno 21 Aprile
con accanto la cifra 41, abbiamo scritto che ”senza un vaccino efficace
ed a breve termine non ci sarà futuro e speranza degna di
questo nome” speriamo tanto di essere in errore e che “vada tutto bene”.
Pier
Marco Gallo
DIARIO VIRUS
Diario
virus quattro. La quarta settimana “piena” in casa. Da domenica a domenica, dal
5 Aprile al 12, anzi a lunedì 13. Varianti al “menù” quotidiano davvero poche e
non potrebbe essere altrimenti se si vogliono rispettare le indicazioni che
dovrebbero consentire il verificarsi di un minore numero di contagi. Si cerca
di sopravvivere nella settimana che ci porterà alla Pasqua e poi al lunedì
dell’Angelo giornate tradizionalmente vissute appieno, per i credenti con la
partecipazione ai tanti riti religiosi e per chi un po meno crede, periodo di
grandi abbuffate, di riunioni familiari e dei primi momenti da trascorrere
all’aperto con le tradizionali grigliate. Dai media giungono notizie
contrastanti, speranze spesso solo “a pro di quiete per il popolo” più che per
reali progressi. Ci dicono che il virus è meno “cattivo”, lo dicono i numeri
dei ricoverati negli ospedali e nelle terapie intensive, e ce ne rendiamo
conto, ma non ce lo dicono ancora i numeri dei contagiati. Si vive nella
speranza che tutto finisca presto e si sa bene che non sarà così. S vive nella
speranza che tutto torni come prima e si sa già che non sarà così. Attenzione
ai sintomi, alla febbre, ad un colpo di tosse di troppo, attenzione alla troppa
gente ancora in giro con cane e non, alle auto che non sempre ci paiono
circolare per una valida ragione. Si guarda fuori, si guarda il cielo che è
sempre lo stesso, sereno e con temperature gradevolissime. E si sta in casa, si
cammina sul terrazzo, si cerca di creare un piccolo mondo dentro ad un mondo
più grande che per ora ci è precluso. Con i nostri 70 anni suonati ci
consideriamo anziani a rischio o no? Siamo una delle fasce di età con una buona
possibilità di salutare la compagnia se il virus ci prende? Bella prospettiva
da mettere tuttavia in conto. E poi arrivano Pasqua e Pasquetta che tranne
qualche piccola variazione nel menù sono giornate come le altre, come la prima
di queste oltre trenta giornate già mandate in archivio, scritte nel libro del
nulla, dello spazio di attesa di un qualcosa che ci dica che è stato un sogno,
un brutto sogno e qualche volta questa parte di vita non vissuta ci porta a
crederlo, ma non è così, ci dice il nostro lato razionale. Ed allora si spera,
si crede che finirà, che ne verremo fuori sani, anzi si va quasi ad invocare
una qualche forma di virus asintomatico che potrebbe averci colto quasi a
nostra insaputa, magari in una delle passate giornate quando il nostro
“orologio” girava meno bene, quando qualcosina funzionava ad un “tot”
percentuale in meno. Si spera anche questo, quando si realizza che un ricovero
potrebbe significare l’allontanamento dai nostri cari e dalle mura amiche del nostro
ospedale, per esser portati chissà dove! Si teme molto questa eventualità,
questo possibile distacco dalla nostra terra, dalla nostra città, dai paesaggi
che ci sono familiari e rassicuranti. In fondo in questa prigionia si chiede
poco se non di poter restare nel nostro piccolo mondo, nella nostra “bolla di
sicurezza”. Poco ci toccano le diatribe politiche, le ripicche, le mezze frasi
“maliziosamente buttate li”, l’impossibilità di mettesi tutti assieme contro
qualcosa ed a favore di tutti noi popolo. Meschinità che ci allontanano ancora
di più da un modo, anche quello grande dell’Europa, che non sentiamo appieno
nostro, del quale vorremmo far parte senza “punizioni”, senza “restrizioni” che
anche ora fatichiamo a comprendere, fatichiamo ad inserire in un contesto
generale di interessi diversi
da quello che
principalmente ci interessa: uscire vivi e possibilmente non troppo poveri da
questa pandemia.
Pier Marco Gallo
Diariovirus
Diario
virus 5. La terza settimana “piena” in casa. Da domenica a domenica, dal 29 Marzo al 5 Aprile , domenica delle Palme. Ventiquattresimo
giorno di “prigionia volontaria”. Ci si rende conto che le giornate sono tutte
uguali, tutte praticamente non vissute. Si pensa e si spera di non essere
“colpiti”, ma la certezza assoluta, nonostante mille precauzioni, non esiste.
Si prova la febbre e si verifica che sia bel sotti i 37°, si cerca di
individuare ogni minimo sintomo, ogni minimo messaggio non usuale che il nostro
corpo ci manda. E poi si pensa, si pensa molto. Sembra quasi di suddividere la
nostra vita in due periodi, quello A.V (ante virus) e quello D.V. (dopo virus)
come nella storia umana quando si parla di A.C. (avanti Cristo) e D.C. (dopo
Cristo). E’ una considerazione che non ci riempie certo di gioia perché ci fa
comprendere che ci sarà, ed è innegabile, un mondo del “prima” ed un mondo del
“dopo”. E poi altro assillo e “come ci si contagia?”. Ci dicono con le
goccioline di saliva, con la tosse o lo starnuto, ma poi ci dicono anche che il
virus si deposita anche sulle superfici e li resta “attivo” per un qualche
tempo. E nell’aria quanto e come dura? Altra bella domanda che ci fa stare poco
tranquilli. Domenica 5 Aprile, domenica delle Palme. E’ una domenica che anche
per chi è poco o per nulla credente ha sempre rappresentato qualcosa, come un
taglio netto tra l’inverno che se ne va e la primavera che arriva. Gioia di
rinascere, di stare fuori, di togliersi i vestiti pesanti. E adesso, ecco la
domanda, e adesso come andrà a finire? Quando si potrà andare fuori senza la
scusa del cane che credo si porterà fuori come non mai, o senza la scusa della
spesa che si va a fare poco per volta per poter avere la “scusa” di stare
fuori, di rubare “l’ora d’aria” alla prigionia. E poi in questi giorni ci è
sorto un dubbio ancora più grande e difficile da inquadrare. Ma se teniamo le
attività, praticamente tutte, chiuse per tanto tempo, cosa succederà. Ci sarà
una povertà diffusa, intere famiglie senza una lira e senza la possibilità di
avere un onesto guadagno con il proprio lavoro. Ecco allora il dubbio. Cosa
dobbiamo “barattare” la chiusura totale prolungata di tutte le attività e la
sicura gravissima crisi economica o un apertura anticipata di una parte di esse
e la quasi certezza che il contagio si porti via un buon numero di persone in
più, diciamo qualche migliaio. E’ un’impressione o la fondatezza di un
ragionamento valido. Non sappiamo dirlo. Fase uno, fase due e poi fase tre. Il
motto di una Nave della Marina Militare “Nave Vesuvio” sulla quale abbiamo
prestato servizio per circa sei anni recitava ”Defende me servabo te”. Eccola
la frase giusta, ecco forse il succo delle fasi uno e due. Difendimi, ti
preservo, ti conservo (ci si perdoni la traduzione). Il cittadino va difeso e
poi sarà il cittadino a riproporsi per mandare avanti il Paese, per il bene di
tutti. Forse in questa vita non vita, in questi giorni non giorni si diventa
anche un poco filosofi, si fanno esercizio mentali che vanno un attimo al di là
di cercare di darci una scusa per uscire anche senza un’esigenza particolare.
Esercitare la mente ad analizzare le situazioni, per accrescere la nostra
conoscenza, esercitare la mente per essere noi stessi, realisti in un mondo che
di realistico ha poco o nulla, che vive sospeso tra comunicati e “dico e
disdico”quasi come in una commedia Pirandelliana. Si cerca di trovare il
“buono” anche nei comunicati giornalieri della Protezione Civile (che cattivo
esempio la frase io la mascherina non la metto!) che ci dicono sempre una parte
della verità, quella che sta a galla, mai un metro sott’acqua. Avranno le loro
ragioni, ma la gente muore da sola. Vien bruciata lontano da casa, da sola. E
poi abbiamo anche pensato che a Pasqua e Pasquetta l’Italico popolo o una parte
di esso non vorrà rinunciare alla tradizione, ed anche noi non vorremmo
rinunciare. Ma rinunceremo volentieri
perché non vorremmo riprendere tutto da
principio per la scelleratezza di una parte di noi. Pier Marco Gallo
Diariovirus
La seconda settimana “piena” in casa. Da domenica a domenica, dal 22
al 29 Marzo. Cosa cambia in noi con i giorni che passano? Direi poche cose e
tante cose. Ci si rende conto che questa “prigionia” non sarà nè facile nè
breve. Ci si rende conto che, a domenica 29, abbiamo superato i diecimila
morti. Sono tanti, anziani o no, con patologie o no, sono esseri umani che non
hanno neppure avuto il conforto della vicinanza dei propri cari e neppure una
sepoltura degna di questo nome. Le giornate sono tragicamente tutte uguali, con
la solita flebile speranza che tutto finisca presto; fine che si allontana nel
tempo con lo snocciolarsi dei numeri del contagio e della progressione in
Europa del virus. Si comincia ad avere la sensazione di vivere in un mondo
parallelo, in una bolla, quello fuori con poca gente quasi nessuna auto, quasi
tutto chiuso, e quello rassicurante della casa che diventa un fortino nel quale
barricarsi al sicuro, lontano dalle possibilità di contagio. Ma è il far
trascorrere dignitosamente la giornata che diventa difficile. Si possono fare
mille e nessuna cosa. Si può fare tutto, in casa, e nulla di quello che si
faceva prima fuori. Chi ha scorte alimentari a sufficienza evita di uscire, di
avvicinarsi ad una realtà che non riconosce ancora come sua, come la “sua”
dell’ante virus. Si prende coscienza che esisteranno due mondi, quello del
prima che ora ci appare meraviglioso, e quello del “dopo” con tante incognite,
con i concreti rischi di povertà, di probabile aumento della criminalità, di
probabili sacrifici che tutti saremo chiamati a sostenere. Ci appariranno
quanto mai belle e desiderabili tutte le cose del prima, cose alle quali si era
fatta l’abitudine e che, brutalmente, ci sono state strappate. Si può guardare
la televisione, ma la parola “coronavirus” ricorre almeno venti volte in un
minuto, si può camminare sul balcone di casa se è abbastanza ampio, si può
leggere o, per chi come noi ne ha la passione, scrivere. Ecco, scrivere, è una
bella possibilità per confrontarci con noi stessi, con la nostra mente che può
sollevarsi dall’attuale condizione e spaziare dove meglio crede, dove vuole.
Dal pranzo in pizzeria con gli amici, alla gara di corsa in qualche bel
paesino, sino ad una storia d’amore inventata, magari attingendo al nostro
vissuto. E’ una scappatoia formidabile che ci permette di spostare la nostra
attenzione dalla situazione attuale, di sognare senza cadere in un incubo, di
creare personaggi e situazioni nelle quali i nostri sentimenti e sensazioni
possono esprimersi ed immedesimarsi. Non serve essere letterati o scrittori
professionisti, serve essere noi stessi e fare buon uso della fantasia, in un
momento in cui la fantasia sembra essere morta, nel “prima” per la troppa
abitudine alle cose, la troppa velocità nel fruire delle nostre libertà e
“nell’oggi” che ci vede chiusi tra le mura domestiche. Queste le nostre giornate
e queste
le riflessioni che la “prigionia” provoca in
ognuno di noi, diverse, diversissime, ma paradossalmente uguali, tutte unite
dal timore del virus, dal rimpianto di ieri e dall’incertezza del domani. Pier
Marco Gallo
CHIUDERE PRIMA CHE…..
Un
famoso detto contadino citava che si era chiusa la stalla dopo che i buoi erano
spariti. Ad un esame non di parte dell’attuale situazione nazionale, ci pare
che questo detto calzi proprio a pennello. Più che prevenire e precedere si è
inseguito un qualcosa che non si conosce, ma del quale da subito, nonostante le
notizie dalla Cina, non si era intuita la potenzialità distruttiva. Una
democrazia, in quanto tale, la si riconosce proprio quando sa, per il bene
comune, frenare le libertà individuali, senza se e senza ma. Con la ferma
convinzione che mettere un muro tra la malattia e la gente, il popolo che tale
democrazia governa, è l’unico rimedio per poi questa democrazia tornare a
dargliela. Noi si è fatto l’esatto contrario si è lasciato andare avanti un
avversario temibile e lo si è sempre inseguito, passando dove lui era già
passato, chiudendo porte che aveva già valicato, lasciandogli nella rete stesa
a protezione di noi tutti, maglie molto larghe nel quale passare indisturbato.
Un repentino blocco totale come quello che sta attuando ora la regione
Lombardia ed in parte il Governo nazionale, avrebbe potuto salvare molte vite,
avrebbe potuto si mettere in ginocchio la nostra economia, ma per un lasso di
tempo forse più breve. Invece del misero metro di distanza bisognava insegnare
alla gente di non uscire, insegnare con le buone o con le cattive che le regole
si rispettano piaccia o no; si rispettano per se stessi e per gli altri. Se
prima dico che blocco tutto e lascio aperte stazioni ed autostrade, non ci
vuole un mago per prevedere che vi saranno spostamenti di massa, proprio quegli
spostamenti che si volevano evitare. Una sequenza logica delle cose vorrebbe
che i provvedimenti prima vengano presi in esame dal maggior numero di responsabili
possibile, poi messi nero su bianco e poi, non appena si sono predisposte tutte
le misure di tutela, messi in atto. Anche nella nostra città, piccolina per
numero di abitanti, ma abbastanza vasta come territorio, non tutti sembrano
aver capito la gravità del momento, non tutti si fanno attori di se stessi,
attenendosi scrupolosamente alla parte loro assegnata. Se si dice di non uscire
e chi scrive lo fa da 12 giorni ad oggi lunedì 23 Marzo, bisogna stare in casa
senza cercare la scusa di portate fuori il cane per ore, di far giocare i
bambini nelle aree collinari o di periferia e senza andare a fare la spesa ogni
mattina “tanto per prendere una boccata d’aria”. E neppure ci si mettono le
scarpette ed una tuta per fare i podisti, veri o di giornata. Se ci sono pochi
controlli il giochino riesce, ma va a scapito di tutti noi anziani o giovani a
scapito di una collettività che tra qualche mese, si spera, dovrà riprendere
seppur gradualmente il suo normale percorso, la sua quotidianità che oggi
manca. Ma anche allora nella benedetta era dei “contagi zero” bisognerà fare
attenzione, bisognerà evitare di fare subito “una festa di Carnevale”. Questo
nemico implacabile ed invisibile sarà sempre intorno a gironzolare, come un
ladruncolo che aspetta solo di trovare un’auto aperta o una porta chiusa
malamente, per rubare qualcosa. E sapete cosa ruberà questo ladruncolo?
Qualcuna delle nostre vite, qualcuno dei nostri affetti più cari che noi non
abbiamo voluto difendere o non abbiamo capito bene come andava difeso
nonostante gli appelli. Ragioniamo tutti su questa cosa e poi le conclusione,
se in cima alla testa ci sta della materia grigia, le potremo trarre da soli,
senza avere dubbi e senza cercare scappatoie e giustificazioni che non
esistono, Se ognuno di noi Governo in primis farà la sua parte ne trarremo
tutti beneficio. Pier Marco Gallo
CORRERE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
In
un periodo dell’anno che dovrebbe essere il più propizio per iniziare a correre
o mettere a frutto gli allenamenti invernali dei tanti cross, il podismo
agonistico si è fermato ormai da più di un mese. A casa nostra l’ultima gara si
è svolta a Mombarone il 2 Febbraio, il Cross in memoria del Prof. Sburlati. Poi
più nulla. La corsa, è risaputo, giova a molte persone di ogni età che dalla
pratica sportiva traggono benessere fisico e mentale. Di colpo questa pratica
sportiva è cessata sia a livello agonistico che a livello amatoriale, perché
avrebbe potuto essere un veicolo di infezione. Giusto. Grande sconcerto, quindi,
tra gli sportivi che hanno creduto, per qualche settimana, di poter continuare
singolarmente o in piccoli gruppi, l’allenamento. Ne è seguito un affollamento
nei parchi, nelle aree verdi ed anche nelle strade cittadine. Altra ordinanza
del Consiglio dei Ministri ed altra stretta alla pratica della corsa. Si potrà
correre da soli e soltanto in prossimità della propria abitazione. Conclusione
praticamente zero corsa. Ma forse anche per questo mondo ci potrebbe essere una
qualche soluzione che concilierebbe l’esigenza del movimento con la necessità
di garantire la salute pubblica. Ci riferiamo specialmente alla nostra città
che dispone di un bel centro polisportivo, quello di Mombarone, oggi chiuso,
con annessa pista di atletica e percorso verde e ci viene in mente anche il
nostro campo di calcio di via Trieste, anch’esso oggi chiuso. Se si riuscisse a
porre in essere un coordinamento tra i podisti ed i responsabili delle due
strutture si potrebbe utilizzarle per far correre al loro interno non più di
due persone ogni ora, previa prenotazione e pagamento di una piccola “quota”.
Nell’arco della giornata, ogni ora quattro perone potrebbero così praticare la
corsa senza gironzolare nei pressi di casa incontrando magari delle persone che
stanno recandosi al supermercato o a sbrigare qualche faccenda urgente. Nessun
contatto con l’esterno durante la pratica sportiva e poi in macchina e via a
casa per la doccia. E’ un’idea che lanciamo, attraverso l’Ancora, al Comune ed
ai responsabili delle due strutture. I podisti non sono né degli sconsiderati,
nè delle persone “strane”, sono individui che da anni praticano la corsa e ne
traggono benefici. Smettere di colpo non è facile e potrebbe come ogni cosa
consueta che si interrompa, portare ad uno stato di ansia in una condizione di vita
già molto difficile. Venire incontro a queste possibili richieste non dovrebbe
essere una cosa impossibile. Una struttura chiusa, un guardiano che ne
disciplina l’ingresso e degli orari ben definiti. Tutto qui. Da noi almeno una
ventina di persone al giorno avrebbero la possibilità di correre in sicurezza
per loro e per gli altri. Aspettiamo riposte sia da una parte (i responsabili)
che dall’altra (i podisti).
Pier Marco Gallo
Diariovirus
DIARIO VIRUS
Si
parlava, la scorsa settimana, di un diario da tenere giornalmente per
descrivere soggettivamente queste giornate di isolamento forzato, ma ci si
rende conto che non è facile mettere in parole delle sensazioni di timore e
forse anche di paura rispetto ai numeri sempre più importanti che riguardano i
contagiati, i deceduti, e per fortuna anche i guariti. Le giornate sono tutte
praticamente uguali per chi non deve andare a lavorare. Ci si addormenta con
nella testa il coronavirus e ci si risveglia con l’identico pensiero. Ma come
trascorrono le giornate, la maggior parte delle persone? Credo si viva in spazi
ristretti, confortati, si fa per dire, dalla presenza della tv con una ampia e
varia prospettiva di programmi, dai nostri computer e
cellulari tuttofare. Magari ci si prende la febbre per vedere se si è sotto la
fatidica soglia dei 37.5 “limite di sicurezza” di ognuno di noi. Poi ci si
organizza con letture, inventario delle “provviste” e, si spera, nessuna
necessità di uscire. Se, come in molti casi, ci sono anziani da accudire, è
prioritario avvicinarsi a loro con la massima sicurezza, mascherina e guanti
perché sono proprio le persone anziane le più fragili ed indifese, come ci
dimostrano le statistiche. Il momento cruciale della giornata è l’appuntamento
delle 18 con la conferenza stampa della Protezione Civile che puntualmente
snocciola numeri e percentuali: nuovi infettati, guariti, decessi giornalieri e
totali, totale di guariti e via dicendo. Numeri sempre importanti ed
angosciosi, che fanno riflettere sul fatto di essere seduti praticamente su di
un fusto di benzina sistemato accanto ad un bel fuoco. Momenti di euforica
sicurezza “stiamo facendo tutto al meglio ed a noi non ci prenderà”, si
alternano ad altri momenti di pensieri cupi “ e se colpisse uno di famiglia? Se uno di noi due, tre,
quanti siamo, si ammalasse cosa facciamo?” Eccolo il tarlo che si ripresenta
ogni tanto. Forse egoisticamente si pensa che sarebbe meglio “colpisse me
piuttosto che uno dei miei cari”. Ma il discorso si potrebbe capovolgere su
ogni componente della famiglia. E’ un piccolo tarlo molto angoscioso che si
insinua nella mente e ci fa capire quanto questo nostro microcosmo, questa
piccola “tribù” racchiusa nell’appartamento sia importante, quanto sia
necessario essere uniti, insieme, vicini, in un momento nel quale essere vicini
è sconsigliato. Ma la famiglia è la famiglia e la si riscopre la cosa più
importante che abbiamo, si riscopre che le discussioni e le piccole divergenze
del passato, cose della quotidianità di noi tutti, erano niente, erano magari
dettate dall’abitudine, da un briciolo di egoismo che il virus ha fatto
sparire. Ci si sente più uniti nel pericolo, si fa barriera comune, ci si dà
reciproca forza, come quelle barriere di scudi che i soldati delle Legioni
romane alzavano di fronte al nemico. Ed i giorni passano sempre uguali, non ha
un senso la domenica, come non ha un senso il lunedì o il venerdì, senza i
camioncini del mercato parcheggiati in caserma, senza i “posteggiatori” che ti
chiamano Capo, senza l’amico da salutare per strada, senza il caffè nel solito
posto, senza tutti quei gesti che si facevano d’abitudine, cose di tutti i
giorni. Ora anche un terrazzo un poco più grande diventa una risorsa. Anche il
portare in cortile l’immondizia, con tutte le cautele per non incontrare nessuno,
diventa un momento di libertà, pochi minuti strappati alla prigione, pochi
minuti per respirare una città deserta, quasi addormentata, quasi indifferente
ai nostri sentimenti, ai nostri dubbi ed alle nostre paure.
Pier Marco Gallo
Diariovirus
DIARIOVIRUS
Potrebbe
essere qualcosa di utile da fare stando in casa in questi lunghi giorni o
settimane che ci separeranno dal momento nel quale questa pandemia darà segni
di cedimento. Un diario, un caro vecchio diario, ora per molti in forma diversa
dalla tradizionale agenda con la sequenza dei giorni. Raccogliere ogni
settimana come molti lettori del giornale avranno trascorso le loro giornate
tornerà utile a molti poiché la fantasia italica non ha davvero confini e nelle
situazioni più serie, come l’attuale, la fantasia sa sempre trovare nuovi modi
per passare il tempo, per scandire delle giornate che altrimenti sarebbero
noia, cibo e televisione. Raccontare delle nostre paure, dei momenti di
sconforto, dello stato d’animo, dei problemi che ci si è trovati ad affrontare
specie i più anziani, sarà lo specchio di questa società al momento reclusa
entro le case, forzatamente reclusa per evitare tragedie che ormai sono
all’ordine del giorno e che puntualmente verso le 18 sulle reti tv entrano
nelle nostre case. Dietro all’aridità dei numeri, che spaventano, ma poi
neppure più di tanto sino a che non ci “picchiano” vicino, ci sono famiglie,
affetti, consuetudini che sino a ieri neppure tenevamo in conto. Cose preziose
che oggi ci mancano, delle quali oggi sentiamo la privazione e delle quali in
un ieri neppure troppo lontano neppure ci accorgevamo. La consuetudine aveva in
parte ucciso queste cose che tanto ci mancano, quella consuetudine che ci
portava ad uscire la sera ad abbracciare gli amici, a consumare una pizza
insieme, a discutere di calcio, di ciclismo, di politica, ognuno di noi conscio
di avere trovato la quadra di ogni cosa, la soluzione per ogni problema .Siamo
soli, adesso, con la nostra famiglia e con gli affetti più cari, siamo soli a
contare le giornate, a controllare la dispensa, il frigo, il congelatore per
verificare se abbiamo di che nutrirci, se abbiamo anche un qualcosa in più che
possa sopperire a questa mancanza di contatti umani.
Ognuno
di noi avrà certamente la sua soluzione al problema, il suo personale modo di
approcciarsi a tanti giorni di solitudine casalinga, gioendo di cantare a
squarciagola la canzone che i social hanno stabilito per quel giorno. Cantare
con gli altri alla stessa ora per darci forza e magari farci bonariamente
mandare a quel paese dal vicino la cui febbre ha magari sfiorato quella soglia
oltre la quale potrebbe celarsi la malattia, quella soglia che ormai, ne siamo
certi, separa da questa semi normalità dall’abisso poiché diciamocelo chiaro in
ospedale non si va e non ci sarebbe neppure posto ed altri aiuti sarà sempre
più difficile trovarne. Ecco cosa si potrebbe scrivere in un diario sequenza di
questi giorni davvero strani, surreali, quasi non vissuti, tutti eguali sabati
martedì domeniche. Tutti in un’alternanza di sonno e di veglia, di paura e di
speranza. La speranza ecco un’altra bella parola, quella speranza che non
dovrebbe mai lasciarci, che ci dovrebbe accompagnare verso il futuro, che non
potrà certo essere sempre come l’oggi. E poi se proprio la nostra fantasia e la
nostra mente sono aride, pensiamo ai medici, agli infermieri, a tutti gli
operatori delle Pubbliche Assistenze: la nostra Croce Rossa, la Bianca e la
Misericordia che sono con i sanitari in prima linea, dentro una trincea a
combattere un nemico invisibile che non spara, ma
colpisce che non urla ma uccide. Sono loro, con tutti i Volontari che stanno al
fronte, che combattono per noi vecchi o giovani che si sia, sani o di salute
cagionevole che ci troviamo ad essere in questo momento. Pensiamo spesso anche
a loro e mandiamo al nostro giornale la storia delle nostre giornate. Magari
avranno il tempo di leggerle e di capire che gli vogliamo bene, che siamo con
loro anche dentro le nostre case, come caldamente da ogni parte ci
raccomandano. La stupidità non paga ed anche la superficialità non paga, non
dovrebbe farci star bene con noi stessi perché facciamo rischiare anche chi è
senza colpa anche chi sta rintanato nella propria casa, poiché con i nostri
errati comportamenti gli allunghiamo questa prigionia e lo allontaniamo da una
normalità che mai come oggi ci sembra importante.
Pier Marco Gallo
Diariovirus 1
FERMI I PODISTI ACQUESI
Deserta
la città per l’attuale normativa atta a contrastare il propagarsi del
coronavirus che impedisce qualsiasi attività all’aria aperta ed anche gli
spostamenti se non per necessità quali il lavoro, la spesa appuntamenti non
differibili. Ancora, per ora, tollerato portare il cane fuori per un breve
tempo e pochissime altre cose. In questa surreale atmosfera pensare di andare a
correre, anche solo per svagarsi, diventa un esercizio mentale difficile anche
per rispettare le tante persone che per vari motivi sono in sofferenza per
questo stato di cose. Si potrebbero raccontare, come una volta in inverno,
davanti al camino, le “imprese” dei nostri atleti dal “mitico” Paolino Zucca da
sempre punto di riferimento del podismo termale a Beppe Chiesa che anni fa
aveva fortemente voluto dare alla città una seconda Società Sportiva dopo
quell’A.T.A. che negli anni ’70 il mitico Prof. Sburlati aveva fondato con
altri appassionati tra i quali l’altrettanto mitico Agostino Alberto la AL002,
l’A.T.A. appunto. Maratone corse, tempi migliori, eccellenze sotto le tre ore
sui poco più di 42 km, tutto passa in secondo piano, tutto si appoggia sui
ripiani degli scaffali di casa in attesa di ritornare a fare bella mostra di se
nelle cronache nostrane. Si ferma il Circuito Alto Monferrato che il bravo ed
appassionato Stellio Sciutto, ormai più di tre lustri fa, aveva ideato e
portato a compimento, andando a portare il podismo nei nostri paesini
collinari, in quei paesini che nei primi tempi si stupivano nel vedere giovani
donne e uomini cimentarsi su salite e discese su sterrati, anche in giornate
nelle quali la calura sembrava poter fermare tutto o l’imminente arrivo della
neve a dare un tocco magico alle tante divise colorate che si rincorrevano sino
al traguardo che offriva una bevanda calda in inverno e magari qualche fetta di
“pateca” in estate. Vorticoso susseguirsi di ricordi per tutti coloro, e sono
tanti, che avevano fatto del correre quasi una ragione di vita, quasi un modo
di essere e, persino, di distinguersi da quei coetanei che gli anni
trasformavano in donne o uomini ”rotondetti” e quasi increduli di vedere dei
coetanei ancora in piena efficienza. A volte una invidia mascherata da una
critica bonaria: “Ma chi te lo fa fare! Mica te lo ordina il medico di
ammazzarti a correre tutte le domeniche!” Eccolo quel modo ora sospeso in
attesa che il coronavirus passi via possibilmente senza danni, possibilmente
con l’augurio di ritrovarci tutti, magari a fine estate o giù di li, di
ritrovarci proprio tutti anche i meno giovani i settantenni ed oltre, quelli
che oggi sarebbero a rischio maggior di andare a correre oltre le nuvole.
Torneremo, si, torneremo tutti a cercare la gara più bella, quella più lunga,
quella con il pacco gara migliore, torneremo ad invidiare bonariamente l’amico
coetaneo o quasi che ieri avevamo battuto e la domenica dopo ci è arrivato davanti
in un giuoco senza fine. Ecco perché dobbiamo superare il coronavirus, superare
questo malefico intruso che ci ha portato via una delle cose più belle del
nostro tempo libero. Adesso siamo in casa, obbligati, ma è giusto così. Poi ci
rifaremo, caro coronavirus, o se ci rifaremo, rispettandoti perché hai corso
veloce come mai noi abbiamo saputo fare, ma te ne andrai avanti da solo a
tagliare un traguardo che nessun Giudice mai ti riconoscerà, a prenderti una
vittoria “sporca” senza podio e senza premi e, soprattutto senza che nessuno ti
applauda.
Pier Marco Gallo