CRONACHE DIARIOVIRUS

A cura di Pier Marco Gallo

ULTIMO DIARIO VIRUS

Da lunedì 18 Maggio cadono molte delle limitazioni con le quali abbiamo convissuto in questi mesi e di conseguenza, con un cauto ritorno alla normalità, anche il nostro diario si chiude, nella speranza di non doverlo più riaprire. Alla fine di ogni fatto, di ogni accadimento è opportuno trarre delle conclusioni ed anche degli insegnamenti. Conclusioni in chiaroscuro: bilancio positivo per come da una parte si è combattuta la pandemia a livello sanitario pur con decenni di imbelli restrizioni e risultati non troppo brillanti per come si è cercato di porre un argine alla prevista e purtroppo ancora in divenire, grave crisi economica foriera di povertà futura. Insegnamenti davvero molti e tutti della massima importanza. In primis quello che la “comoda” globalizzazione riduce la “forza produttiva” di molti Paesi e conseguentemente la necessità di prevedere forme diverse di comunicazione e di sviluppo del sistema industriale troppo sbilanciato verso quegli Stati che si prestano ad un’economia senza il rispetto del lavoratore e senza mettere in pratica norme e leggi che da noi incidono pesantemente sui costi del prodotto finito. Noi, noi popolo, in fondo, ci siamo comportati bene, abbiamo agito con pazienza ed anche con rassegnazione al continuo divenire degli eventi, alla continua richiesta di cambiare radicalmente il nostro stile di vita. Ci siamo adattati alle file, alle mascherine, al vivere in casa, al sentire gli amici solo per videochiamata o altre “diavolerie” della tecnica moderna di comunicazione, rivelatasi in questo caso fondamentale. Ci siamo anche, noi popolo, allontanati l’uno dall’altro, quasi a schivarci volutamente nella fase più acuta della pandemia, dove “l’altro” poteva significare contagio e possibile malattia. Poi, come in tutte le cose l’essere umano si “abitua” e tende, alla lunga, ad ignorare il problema per non richiudersi definitivamente in se stesso. Cosa ci ha anche insegnato questa pandemia? Che siamo fragili come esseri umani, pronti a sfidare l’universo, l’immensamente grande ed anche l’immensamente piccolo, ma impreparati ad un qualcosa che non possiamo né vedere ne controllare se non dopo che si è manifestato. Bisognerà tenere presenti due cose: la prima è che non siamo invincibili, ma nel bene o nel male dipendiamo da questo mondo in cui viviamo che è solo una piccola, infinitesima parte di un tutto. E questo spesso si tende a dimenticarlo. La seconda è che ognuno di noi dipende da qualcun altro anche il politico o il ricco più potente. Perché come diceva il Principe De Curtis “Totò” è la somma che fa il totale.

 Pier Marco Gallo



DIARIO VIRUS SETTE

Da lunedì 4 Maggio primo leggero allentamento della stretta sulle uscite, anche se dovrebbero cambiare di poco le precauzioni, anzi si dovrebbero maggiormente aumentare considerando che in giro ci saranno più persone. Prima settimana “tranquilla” senza la sensazione che uscire di casa significasse “rubare” qualcosa a non si sa bene chi. Ci sono state le belle giornate anche se oggi lunedì 11 Maggio siamo ritornati nella pioggia e nel tempo umido. Si percepisce chiaramente, come succede a   chi vi scrive, che le persone hanno il desiderio di stare fuori, magari di affollarsi davanti ad un bar per prendere un caffè in piedi fuori dall’ingresso, ma anche questo è la nuova vita. Il bar con il suo bancone e lo zucchero nei contenitori, con gli “stuzzichini” all’ora dell’aperitivo resterà per molto tempo un ricordo. Ma anche gli esercizi commerciali debbono iniziare ad essere aperti, per dare un piccolo servizio, un segnale di normalità e mettere qualche euro in tasca, dopo mesi di fame. Si capisce ora sin troppo bene che più si tengono chiuse le attività e più la crisi sarà profonda e prolungata nel tempo. Si vive la città in modo diverso, quasi a schivare le persone che si incontrano per timore di passare troppo “da vicino”.Si capisce che di questo virus si sa sempre troppo poco, non si conosce bene come si possa espandere e dove si annidi. Potrebbe essere dappertutto, su ogni cosa, su ogni superficie, su ogni oggetto che si porta in casa. Si dovrebbe disinfettare sempre tutto, ma i materiali necessari a farlo scarseggiano e poi sembra tutto una catena senza fine. Tocco questa cosa e pulisco le mani, poi debbo togliere i guanti e devo farlo in un certo modo altrimenti rischio, poi i guanti tolti li debbo buttare con un qualche accorgimento e lavarmi le mani bene bene con il sapone almeno cento volte al giorno. Ora posso correre o camminare con più libertà, ma la benedetta mascherina se non sono incosciente la devo sempre tenere a portata di mano ed anche la mescherina ha tutto un suo “credo”, un suo modo di essere gestita. Ci si riuscirà a fare tutto per bene, ma a farlo tutti? Non credo sia possibile per poca volontà o per distrazione. E torna l’assillo che ci accompagna nella quotidianità, l’assillo che ha sostituito la socialità, la quotidianità dei gesti ripetuti inconsapevolmente dalla nostra nascita e che ora debbono mutare. Di feste ne abbiamo già passate un bel po, ma non erano mica feste, non erano il piacere di godersi la giornata, il sole primaverile, l’aria aperta, gli spazi e le persone. Certamente si fa meno attenzione a quello che i media ci propinano giornalmente, trasmettendoci sempre preoccupazioni e poche certezze. Si scopre che il virus veniva da noi forse già in Ottobre 2019 portato dalle Olimpiadi Militari che proprio in Cina e proprio nel luogo origine dei contagi si svolsero. Combinazioni del destino e altra combinazione del destino non si fece caso, allora, alle molte polmoniti che gli atleti accusarono al loro ritorno sia da noi che nel resto del mondo. Non si comprese quello che oggi tragicamente appare evidente e non si pensò di ricercare la causa di quelle patologie. Lo abbiamo scritto nel Diario del virus che “forse ti abbiamo scoperto”, sappiamo come ci sei arrivato, ma oggi dobbiamo chiudere la pagina dicendo che la cosa non ci consola affatto. Pier Marco Gallo


DIARIO VIRUS
Sono ormai quarantasette i giorni di “prigionia volontaria” ad oggi lunedì 27 Aprile. Ha visto la luce nella serata di domenica il DPCM che ci   si sperava potesse aprire un qualche spiraglio, almeno alle attività “singole” all’aria aperta. Per chi scrive, come per tanti altri la “fase due” contenuta in ben 70 pagine, si è rivelata al massimo una ”fase 1a” con ben poche novità e la convinzione che “sarà ancora lunga”. Non cambiano molto le nostre giornate, si sta in casa, si fa un po di attività fisica nei limiti del possibile, si vedono persone che portano in giro i cani, beati loro, a tanta gente che di passo svelto, va o torna dalla spesa. Vita sociale diretta zero, anzi nelle rarissime uscite, tre complessive nell’intero periodo, per necessità urgenti ed a breve raggio, si evitano accuratamente le persone, quasi fossero dei nemici. Ma è così e si crede che lo sarà per molto tempo ancora. Però il pensiero più angoscioso, dopo la paura del contagio, è quello della nostra economia e del nostro futuro, che per molti, specie i piccoli commercianti ed artigiani non sarà davvero roseo. Adesso si potranno andare a trovare i parenti, ma per fare che? Per vedere le mascherine? Anche prendere un caffè in casa d’altri potrebbe costituire un pericolo ed allora si potrà continuare a sentirci al telefono o sui social, come da tempo. Se qualcuna delle grandi industrie potrà aprire sarà un bene, ma i “piccoli” saranno le vere vittime del “corona”. Ci immaginiamo, davanti alla tv, degli scenari poco lusinghieri, ci addolorano le tante case di cura divenute palazzi di morte, ci addolorano i medici, gli infermieri, i farmacisti che sono morti cercando di salvarci, che sono morti perché questo nemico prima si conosceva poco ed ora, spesso, lo si affronta non ad armi pari. Ci si comincia a rendere conto della gravità della situazione, della mancanza delle cose più banali ed elementari, come attraversare la piazza del mercato piena di gente e di banchi il martedì o il venerdì. Ci mancano le file delle auto, i “camioncini” che nei giorni di mercato affollano i cortili della caserma, cortili che ora abbondano di posti auto. Ci consola il pensiero che dal 4 Maggio, lunedì’, almeno potremo uscire a fare una passeggiata, stando lontani da tutti, ma sempre felici di respirare aria di fuori. Ci consola il fatto che almeno potremo muoverci, ma per il resto è tutto come prima come da quell’ 8 Marzo che negli anni dovrà essere ricordato con timore. L’8 Marzo da sempre, pensiamo, è stata una bella giornata, la “Festa della Donna”; una giornata di gentilezza verso mogli, compagne, fidanzate, amiche. Una giornata nella quale in città si aggiravano persone provenienti da un altro continente e che volevano venderti la mimosa, per fare qualche soldo. Magari si prendeva e si portava a casa con un sorriso. Ora quel sorriso, ogni mattina al risveglio, si riserva alle persone care che vivono con noi, felici di stare bene. Quindi quando tutto sarà passato, cosa resterà del giorno 8 Marzo? La Festa della donna o l’inizio di un incubo?
Poi ci sono anche i timori per i controlli perché qualsiasi cosa si faccia stando fuori potrebbe non essere lecita e sanzionata, come pare sia già accaduto per qualche persona che, ma sarà una leggenda metropolitana, si era recata in farmacia senza avere la ricetta o aveva i capelli troppo in ordine con il dubbio che si fosse recata o fatto venire a casa il barbiere o la parrucchiera. Non saranno cose vere, ma si dicono. Ci restano i social e la tv. Niente sport perché non ci sono competizioni ed allora si rivede la famosa Italia Germania 4 a 3, si rivedono le gare ciclistiche dei tempi andati. Si rivedono programmi con il pubblico presente e con la scritta “registrata prima del 8 Marzo”. Siamo ancora fiduciosi che il vecchio mondo ritornerà, anche se in maniera diversa e non sarà mai più lo stesso. Noi la vediamo così, con un pizzico di rimpianto ed una discreta dose di pessimismo. Ma anche con la convinzione che ci si era, forse, spinti un po troppo oltre.
 Pier Marco Gallo

I MARINAI PIANGONO EUGENIO DORO

E’ mancato poco prima del 25 Aprile uno dei decani del Gruppo dei Marinai acquesi, Eugenio Doro classe 1933. Con l’attuale stato di cose non è stato possibile assistere, alla cerimonia funebre della cremazione e neppure salutarlo con la recita della Preghiera del Marinaio. Eugenio Doro Marinaio Effettivo, aveva per anni navigato nella Marina Mercantile e poi, rientrato a “terra” aveva tenuto per anni il panificio pasticceria di via Crenna. Sempre gentile e disponibile, nato a Camogli, località alla quale era legato da un profondo attaccamento, Eugenio aveva ricoperto diversi incarichi nell’Associazione  e fino a pochi anni fa era stato il portabandiera “l’Alfiere” nelle cerimonie Ufficiali. Il Presidente del Gruppo Cav. Pier Marco Gallo il Consiglio Direttivo e tutti i Soci porgono alla famiglia sentite condoglianze.



DIARIO VIRUS

Sono quarantuno i giorni di “prigionia volontaria” ad oggi martedì 21 Aprile. Quarantuno giorni che sono stati regalati al vento, ad una vita nuova che non c’è, quella del D.V.(dopo virus).Del passato ci si accorge non è restato nulla. Si sente parlare solo di coronavirus di task force, di smart work, di look down. Le belle parole della nostra lingua italiana non si usano a pro di un linguaggio che “fa più effetto”. Poi nella realtà si fatica e non poco a trovare dei guanti, dei presidi che servono per gli anziani, dei disinfettanti, dell’alcool, a dispetto delle mille task force. Ci si sente isolati, privati di un bene che era la libertà di movimento, privazione dettata da regole che non sempre sono chiare e che non sempre corrispondono ad una logica comprensibilmente applicabile. Si vieta di andare da soli a lavorare un pezzo di terra, ma si consente di passeggiare tranquillamente in città, nei pressi o meno della propria abitazione con un quadrupede al guinzaglio, felice, beato lui, di tanta attenzione e di tanto movimento. Si parla di fase due, l’apertura parziale delle attività commerciali, ma si capisce subito che tranne quelle realtà che dispongono di ampi spazi e di solidità economica, per quasi tutti gli altri non ci sarà spazio vitale, non sarà possibile mettere in atto le procedure di sicurezza richieste. Si pensa a tutto questo, mentre in tv scorrono le notizie dei quotidiani, di varia colorazione politica e di varia tendenza. Versioni contrastanti dello stesso fenomeno visualizzato da ottiche diverse. Il bicchiere diventa a volte baldanzosamente mezzo pieno ed a volte tragicamente mezzo vuoto, ma l’acqua al suo interno è sempre la stessa. Ecco in fondo cosa ci preoccupa: un paese, che come la vita sociale, sta divenendo evanescente, sta divenendo un insieme di realtà non coordinate tra di loro, sia che si faccia bene, sia che si faccia meno bene.”Del doman non c’è certezza” recitavano dei versi che ci insegnavano in letteratura italiana alle medie ed anche alle superiori. Mai frase fu più veritiera, ce ne rendiamo conto in queste lunghe giornate di isolamento volontario, da persone sane che sperano di sfuggire alla pandemia. Ci si muove in casa, si cammina sul balcone grande o piccolo che sia, si organizzano le giornate quasi sempre allo stesso modo perché la casa è sempre quella e le persone con le quali viviamo idem, con i pregi ed i difetti di sempre, ma con una sempre minore capacità di reazione agli eventi esterni, meno capacità di sopportazione. E poi ci saranno le app per sapere dove andiamo, chi incontriamo. Il tutto più o meno nel rispetto della privacy. Ma proprio tutti hanno un cellulare idoneo a ricevere le app. No non proprio tutti anzi, molti meno di quanto si creda. Ed allora queste persone saranno lasciate a casa, in prigionia perenne perché sono anziani o non hanno la app?Ci siamo convinti che ,scrivendo e poi scorrendo i giorni passati  le pagine del nostro diario, le problematiche saranno altre, saranno la miseria quella vera, quella che ti si aggrappa addosso perché non ci saranno disponibili neppure i pochi euro per comprare da mangiare. Come faranno a risorgere bar, ristoranti, pizzerie relegate in spazi angusti, con i tavoli che quasi si toccano? Ci serviranno caffè, cappuccini o pizze sulla porta del locale, da consumare in piedi con guanti e mascherina? E chi ce lo farà fare? Poi verranno le spiagge, il mare, il nostro bel mare o la montagna con i suoi rifugi stretti in spazi angusti e spartani. Come faremo? Ed i treni, gli autobus, le metropolitane, gli aerei. Tutti mezzi concepiti per il trasporto concentrato di persone. Sarà questo il vero dramma, la vera “spada di damocle” sulla testa di ognuno di noi. Sul nostro diario al giorno 21 Aprile con accanto la cifra 41, abbiamo scritto che ”senza un vaccino efficace ed a breve termine non ci sarà futuro e speranza degna di questo nome” speriamo tanto di essere in errore e che “vada tutto bene”.
Pier Marco Gallo


DIARIO VIRUS 

Diario virus quattro. La quarta settimana “piena” in casa. Da domenica a domenica, dal 5 Aprile al 12, anzi a lunedì 13. Varianti al “menù” quotidiano davvero poche e non potrebbe essere altrimenti se si vogliono rispettare le indicazioni che dovrebbero consentire il verificarsi di un minore numero di contagi. Si cerca di sopravvivere nella settimana che ci porterà alla Pasqua e poi al lunedì dell’Angelo giornate tradizionalmente vissute appieno, per i credenti con la partecipazione ai tanti riti religiosi e per chi un po meno crede, periodo di grandi abbuffate, di riunioni familiari e dei primi momenti da trascorrere all’aperto con le tradizionali grigliate. Dai media giungono notizie contrastanti, speranze spesso solo “a pro di quiete per il popolo” più che per reali progressi. Ci dicono che il virus è meno “cattivo”, lo dicono i numeri dei ricoverati negli ospedali e nelle terapie intensive, e ce ne rendiamo conto, ma non ce lo dicono ancora i numeri dei contagiati. Si vive nella speranza che tutto finisca presto e si sa bene che non sarà così. S vive nella speranza che tutto torni come prima e si sa già che non sarà così. Attenzione ai sintomi, alla febbre, ad un colpo di tosse di troppo, attenzione alla troppa gente ancora in giro con cane e non, alle auto che non sempre ci paiono circolare per una valida ragione. Si guarda fuori, si guarda il cielo che è sempre lo stesso, sereno e con temperature gradevolissime. E si sta in casa, si cammina sul terrazzo, si cerca di creare un piccolo mondo dentro ad un mondo più grande che per ora ci è precluso. Con i nostri 70 anni suonati ci consideriamo anziani a rischio o no? Siamo una delle fasce di età con una buona possibilità di salutare la compagnia se il virus ci prende? Bella prospettiva da mettere tuttavia in conto. E poi arrivano Pasqua e Pasquetta che tranne qualche piccola variazione nel menù sono giornate come le altre, come la prima di queste oltre trenta giornate già mandate in archivio, scritte nel libro del nulla, dello spazio di attesa di un qualcosa che ci dica che è stato un sogno, un brutto sogno e qualche volta questa parte di vita non vissuta ci porta a crederlo, ma non è così, ci dice il nostro lato razionale. Ed allora si spera, si crede che finirà, che ne verremo fuori sani, anzi si va quasi ad invocare una qualche forma di virus asintomatico che potrebbe averci colto quasi a nostra insaputa, magari in una delle passate giornate quando il nostro “orologio” girava meno bene, quando qualcosina funzionava ad un “tot” percentuale in meno. Si spera anche questo, quando si realizza che un ricovero potrebbe significare l’allontanamento dai nostri cari e dalle mura amiche del nostro ospedale, per esser portati chissà dove! Si teme molto questa eventualità, questo possibile distacco dalla nostra terra, dalla nostra città, dai paesaggi che ci sono familiari e rassicuranti. In fondo in questa prigionia si chiede poco se non di poter restare nel nostro piccolo mondo, nella nostra “bolla di sicurezza”. Poco ci toccano le diatribe politiche, le ripicche, le mezze frasi “maliziosamente buttate li”, l’impossibilità di mettesi tutti assieme contro qualcosa ed a favore di tutti noi popolo. Meschinità che ci allontanano ancora di più da un modo, anche quello grande dell’Europa, che non sentiamo appieno nostro, del quale vorremmo far parte senza “punizioni”, senza “restrizioni” che anche ora fatichiamo a comprendere, fatichiamo ad inserire in un contesto generale di interessi diversi da quello che principalmente ci interessa: uscire vivi e possibilmente non troppo poveri da questa pandemia.
Pier Marco Gallo




Diariovirus 
Diario virus 5. La terza settimana “piena” in casa. Da domenica a domenica, dal 29  Marzo al 5 Aprile , domenica delle Palme. Ventiquattresimo giorno di “prigionia volontaria”. Ci si rende conto che le giornate sono tutte uguali, tutte praticamente non vissute. Si pensa e si spera di non essere “colpiti”, ma la certezza assoluta, nonostante mille precauzioni, non esiste. Si prova la febbre e si verifica che sia bel sotti i 37°, si cerca di individuare ogni minimo sintomo, ogni minimo messaggio non usuale che il nostro corpo ci manda. E poi si pensa, si pensa molto. Sembra quasi di suddividere la nostra vita in due periodi, quello A.V (ante virus) e quello D.V. (dopo virus) come nella storia umana quando si parla di A.C. (avanti Cristo) e D.C. (dopo Cristo). E’ una considerazione che non ci riempie certo di gioia perché ci fa comprendere che ci sarà, ed è innegabile, un mondo del “prima” ed un mondo del “dopo”. E poi altro assillo e “come ci si contagia?”. Ci dicono con le goccioline di saliva, con la tosse o lo starnuto, ma poi ci dicono anche che il virus si deposita anche sulle superfici e li resta “attivo” per un qualche tempo. E nell’aria quanto e come dura? Altra bella domanda che ci fa stare poco tranquilli. Domenica 5 Aprile, domenica delle Palme. E’ una domenica che anche per chi è poco o per nulla credente ha sempre rappresentato qualcosa, come un taglio netto tra l’inverno che se ne va e la primavera che arriva. Gioia di rinascere, di stare fuori, di togliersi i vestiti pesanti. E adesso, ecco la domanda, e adesso come andrà a finire? Quando si potrà andare fuori senza la scusa del cane che credo si porterà fuori come non mai, o senza la scusa della spesa che si va a fare poco per volta per poter avere la “scusa” di stare fuori, di rubare “l’ora d’aria” alla prigionia. E poi in questi giorni ci è sorto un dubbio ancora più grande e difficile da inquadrare. Ma se teniamo le attività, praticamente tutte, chiuse per tanto tempo, cosa succederà. Ci sarà una povertà diffusa, intere famiglie senza una lira e senza la possibilità di avere un onesto guadagno con il proprio lavoro. Ecco allora il dubbio. Cosa dobbiamo “barattare” la chiusura totale prolungata di tutte le attività e la sicura gravissima crisi economica o un apertura anticipata di una parte di esse e la quasi certezza che il contagio si porti via un buon numero di persone in più, diciamo qualche migliaio. E’ un’impressione o la fondatezza di un ragionamento valido. Non sappiamo dirlo. Fase uno, fase due e poi fase tre. Il motto di una Nave della Marina Militare “Nave Vesuvio” sulla quale abbiamo prestato servizio per circa sei anni recitava ”Defende me servabo te”. Eccola la frase giusta, ecco forse il succo delle fasi uno e due. Difendimi, ti preservo, ti conservo (ci si perdoni la traduzione). Il cittadino va difeso e poi sarà il cittadino a riproporsi per mandare avanti il Paese, per il bene di tutti. Forse in questa vita non vita, in questi giorni non giorni si diventa anche un poco filosofi, si fanno esercizio mentali che vanno un attimo al di là di cercare di darci una scusa per uscire anche senza un’esigenza particolare. Esercitare la mente ad analizzare le situazioni, per accrescere la nostra conoscenza, esercitare la mente per essere noi stessi, realisti in un mondo che di realistico ha poco o nulla, che vive sospeso tra comunicati e “dico e disdico”quasi come in una commedia Pirandelliana. Si cerca di trovare il “buono” anche nei comunicati giornalieri della Protezione Civile (che cattivo esempio la frase io la mascherina non la metto!) che ci dicono sempre una parte della verità, quella che sta a galla, mai un metro sott’acqua. Avranno le loro ragioni, ma la gente muore da sola. Vien bruciata lontano da casa, da sola. E poi abbiamo anche pensato che a Pasqua e Pasquetta l’Italico popolo o una parte di esso non vorrà rinunciare alla tradizione, ed anche noi non vorremmo rinunciare. Ma rinunceremo volentieri  perché non vorremmo riprendere tutto da principio per la scelleratezza di una parte di noi. Pier Marco Gallo

Diariovirus 
La seconda settimana “piena” in casa. Da domenica a domenica, dal 22 al 29 Marzo. Cosa cambia in noi con i giorni che passano? Direi poche cose e tante cose. Ci si rende conto che questa “prigionia” non sarà nè facile nè breve. Ci si rende conto che, a domenica 29, abbiamo superato i diecimila morti. Sono tanti, anziani o no, con patologie o no, sono esseri umani che non hanno neppure avuto il conforto della vicinanza dei propri cari e neppure una sepoltura degna di questo nome. Le giornate sono tragicamente tutte uguali, con la solita flebile speranza che tutto finisca presto; fine che si allontana nel tempo con lo snocciolarsi dei numeri del contagio e della progressione in Europa del virus. Si comincia ad avere la sensazione di vivere in un mondo parallelo, in una bolla, quello fuori con poca gente quasi nessuna auto, quasi tutto chiuso, e quello rassicurante della casa che diventa un fortino nel quale barricarsi al sicuro, lontano dalle possibilità di contagio. Ma è il far trascorrere dignitosamente la giornata che diventa difficile. Si possono fare mille e nessuna cosa. Si può fare tutto, in casa, e nulla di quello che si faceva prima fuori. Chi ha scorte alimentari a sufficienza evita di uscire, di avvicinarsi ad una realtà che non riconosce ancora come sua, come la “sua” dell’ante virus. Si prende coscienza che esisteranno due mondi, quello del prima che ora ci appare meraviglioso, e quello del “dopo” con tante incognite, con i concreti rischi di povertà, di probabile aumento della criminalità, di probabili sacrifici che tutti saremo chiamati a sostenere. Ci appariranno quanto mai belle e desiderabili tutte le cose del prima, cose alle quali si era fatta l’abitudine e che, brutalmente, ci sono state strappate. Si può guardare la televisione, ma la parola “coronavirus” ricorre almeno venti volte in un minuto, si può camminare sul balcone di casa se è abbastanza ampio, si può leggere o, per chi come noi ne ha la passione, scrivere. Ecco, scrivere, è una bella possibilità per confrontarci con noi stessi, con la nostra mente che può sollevarsi dall’attuale condizione e spaziare dove meglio crede, dove vuole. Dal pranzo in pizzeria con gli amici, alla gara di corsa in qualche bel paesino, sino ad una storia d’amore inventata, magari attingendo al nostro vissuto. E’ una scappatoia formidabile che ci permette di spostare la nostra attenzione dalla situazione attuale, di sognare senza cadere in un incubo, di creare personaggi e situazioni nelle quali i nostri sentimenti e sensazioni possono esprimersi ed immedesimarsi. Non serve essere letterati o scrittori professionisti, serve essere noi stessi e fare buon uso della fantasia, in un momento in cui la fantasia sembra essere morta, nel “prima” per la troppa abitudine alle cose, la troppa velocità nel fruire delle nostre libertà e “nell’oggi” che ci vede chiusi tra le mura domestiche. Queste le nostre giornate e queste le riflessioni che la “prigionia” provoca in ognuno di noi, diverse, diversissime, ma paradossalmente uguali, tutte unite dal timore del virus, dal rimpianto di ieri e dall’incertezza del domani. Pier Marco Gallo   

CHIUDERE PRIMA CHE…..


Un famoso detto contadino citava che si era chiusa la stalla dopo che i buoi erano spariti. Ad un esame non di parte dell’attuale situazione nazionale, ci pare che questo detto calzi proprio a pennello. Più che prevenire e precedere si è inseguito un qualcosa che non si conosce, ma del quale da subito, nonostante le notizie dalla Cina, non si era intuita la potenzialità distruttiva. Una democrazia, in quanto tale, la si riconosce proprio quando sa, per il bene comune, frenare le libertà individuali, senza se e senza ma. Con la ferma convinzione che mettere un muro tra la malattia e la gente, il popolo che tale democrazia governa, è l’unico rimedio per poi questa democrazia tornare a dargliela. Noi si è fatto l’esatto contrario si è lasciato andare avanti un avversario temibile e lo si è sempre inseguito, passando dove lui era già passato, chiudendo porte che aveva già valicato, lasciandogli nella rete stesa a protezione di noi tutti, maglie molto larghe nel quale passare indisturbato. Un repentino blocco totale come quello che sta attuando ora la regione Lombardia ed in parte il Governo nazionale, avrebbe potuto salvare molte vite, avrebbe potuto si mettere in ginocchio la nostra economia, ma per un lasso di tempo forse più breve. Invece del misero metro di distanza bisognava insegnare alla gente di non uscire, insegnare con le buone o con le cattive che le regole si rispettano piaccia o no; si rispettano per se stessi e per gli altri. Se prima dico che blocco tutto e lascio aperte stazioni ed autostrade, non ci vuole un mago per prevedere che vi saranno spostamenti di massa, proprio quegli spostamenti che si volevano evitare. Una sequenza logica delle cose vorrebbe che i provvedimenti prima vengano presi in esame dal maggior numero di responsabili possibile, poi messi nero su bianco e poi, non appena si sono predisposte tutte le misure di tutela, messi in atto. Anche nella nostra città, piccolina per numero di abitanti, ma abbastanza vasta come territorio, non tutti sembrano aver capito la gravità del momento, non tutti si fanno attori di se stessi, attenendosi scrupolosamente alla parte loro assegnata. Se si dice di non uscire e chi scrive lo fa da 12 giorni ad oggi lunedì 23 Marzo, bisogna stare in casa senza cercare la scusa di portate fuori il cane per ore, di far giocare i bambini nelle aree collinari o di periferia e senza andare a fare la spesa ogni mattina “tanto per prendere una boccata d’aria”. E neppure ci si mettono le scarpette ed una tuta per fare i podisti, veri o di giornata. Se ci sono pochi controlli il giochino riesce, ma va a scapito di tutti noi anziani o giovani a scapito di una collettività che tra qualche mese, si spera, dovrà riprendere seppur gradualmente il suo normale percorso, la sua quotidianità che oggi manca. Ma anche allora nella benedetta era dei “contagi zero” bisognerà fare attenzione, bisognerà evitare di fare subito “una festa di Carnevale”. Questo nemico implacabile ed invisibile sarà sempre intorno a gironzolare, come un ladruncolo che aspetta solo di trovare un’auto aperta o una porta chiusa malamente, per rubare qualcosa. E sapete cosa ruberà questo ladruncolo? Qualcuna delle nostre vite, qualcuno dei nostri affetti più cari che noi non abbiamo voluto difendere o non abbiamo capito bene come andava difeso nonostante gli appelli. Ragioniamo tutti su questa cosa e poi le conclusione, se in cima alla testa ci sta della materia grigia, le potremo trarre da soli, senza avere dubbi e senza cercare scappatoie e giustificazioni che non esistono, Se ognuno di noi Governo in primis farà la sua parte ne trarremo tutti beneficio. Pier Marco Gallo

CORRERE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

In un periodo dell’anno che dovrebbe essere il più propizio per iniziare a correre o mettere a frutto gli allenamenti invernali dei tanti cross, il podismo agonistico si è fermato ormai da più di un mese. A casa nostra l’ultima gara si è svolta a Mombarone il 2 Febbraio, il Cross in memoria del Prof. Sburlati. Poi più nulla. La corsa, è risaputo, giova a molte persone di ogni età che dalla pratica sportiva traggono benessere fisico e mentale. Di colpo questa pratica sportiva è cessata sia a livello agonistico che a livello amatoriale, perché avrebbe potuto essere un veicolo di infezione. Giusto. Grande sconcerto, quindi, tra gli sportivi che hanno creduto, per qualche settimana, di poter continuare singolarmente o in piccoli gruppi, l’allenamento. Ne è seguito un affollamento nei parchi, nelle aree verdi ed anche nelle strade cittadine. Altra ordinanza del Consiglio dei Ministri ed altra stretta alla pratica della corsa. Si potrà correre da soli e soltanto in prossimità della propria abitazione. Conclusione praticamente zero corsa. Ma forse anche per questo mondo ci potrebbe essere una qualche soluzione che concilierebbe l’esigenza del movimento con la necessità di garantire la salute pubblica. Ci riferiamo specialmente alla nostra città che dispone di un bel centro polisportivo, quello di Mombarone, oggi chiuso, con annessa pista di atletica e percorso verde e ci viene in mente anche il nostro campo di calcio di via Trieste, anch’esso oggi chiuso. Se si riuscisse a porre in essere un coordinamento tra i podisti ed i responsabili delle due strutture si potrebbe utilizzarle per far correre al loro interno non più di due persone ogni ora, previa prenotazione e pagamento di una piccola “quota”. Nell’arco della giornata, ogni ora quattro perone potrebbero così praticare la corsa senza gironzolare nei pressi di casa incontrando magari delle persone che stanno recandosi al supermercato o a sbrigare qualche faccenda urgente. Nessun contatto con l’esterno durante la pratica sportiva e poi in macchina e via a casa per la doccia. E’ un’idea che lanciamo, attraverso l’Ancora, al Comune ed ai responsabili delle due strutture. I podisti non sono né degli sconsiderati, nè delle persone “strane”, sono individui che da anni praticano la corsa e ne traggono benefici. Smettere di colpo non è facile e potrebbe come ogni cosa consueta che si interrompa, portare ad  uno stato di ansia in una condizione di vita già molto difficile. Venire incontro a queste possibili richieste non dovrebbe essere una cosa impossibile. Una struttura chiusa, un guardiano che ne disciplina l’ingresso e degli orari ben definiti. Tutto qui. Da noi almeno una ventina di persone al giorno avrebbero la possibilità di correre in sicurezza per loro e per gli altri. Aspettiamo riposte sia da una parte (i responsabili) che dall’altra (i podisti). 
Pier Marco Gallo




Diariovirus 


DIARIO VIRUS 

Si parlava, la scorsa settimana, di un diario da tenere giornalmente per descrivere soggettivamente queste giornate di isolamento forzato, ma ci si rende conto che non è facile mettere in parole delle sensazioni di timore e forse anche di paura rispetto ai numeri sempre più importanti che riguardano i contagiati, i deceduti, e per fortuna anche i guariti. Le giornate sono tutte praticamente uguali per chi non deve andare a lavorare. Ci si addormenta con nella testa il coronavirus e ci si risveglia con l’identico pensiero. Ma come trascorrono le giornate, la maggior parte delle persone? Credo si viva in spazi ristretti, confortati, si fa per dire, dalla presenza della tv con una ampia e varia prospettiva di programmi, dai nostri computer e cellulari tuttofare. Magari ci si prende la febbre per vedere se si è sotto la fatidica soglia dei 37.5 “limite di sicurezza” di ognuno di noi. Poi ci si organizza con letture, inventario delle “provviste” e, si spera, nessuna necessità di uscire. Se, come in molti casi, ci sono anziani da accudire, è prioritario avvicinarsi a loro con la massima sicurezza, mascherina e guanti perché sono proprio le persone anziane le più fragili ed indifese, come ci dimostrano le statistiche. Il momento cruciale della giornata è l’appuntamento delle 18 con la conferenza stampa della Protezione Civile che puntualmente snocciola numeri e percentuali: nuovi infettati, guariti, decessi giornalieri e totali, totale di guariti e via dicendo. Numeri sempre importanti ed angosciosi, che fanno riflettere sul fatto di essere seduti praticamente su di un fusto di benzina sistemato accanto ad un bel fuoco. Momenti di euforica sicurezza “stiamo facendo tutto al meglio ed a noi non ci prenderà”, si alternano ad altri momenti di pensieri cupi “ e se colpisse  uno di famiglia? Se uno di noi due, tre, quanti siamo, si ammalasse cosa facciamo?” Eccolo il tarlo che si ripresenta ogni tanto. Forse egoisticamente si pensa che sarebbe meglio “colpisse me piuttosto che uno dei miei cari”. Ma il discorso si potrebbe capovolgere su ogni componente della famiglia. E’ un piccolo tarlo molto angoscioso che si insinua nella mente e ci fa capire quanto questo nostro microcosmo, questa piccola “tribù” racchiusa nell’appartamento sia importante, quanto sia necessario essere uniti, insieme, vicini, in un momento nel quale essere vicini è sconsigliato. Ma la famiglia è la famiglia e la si riscopre la cosa più importante che abbiamo, si riscopre che le discussioni e le piccole divergenze del passato, cose della quotidianità di noi tutti, erano niente, erano magari dettate dall’abitudine, da un briciolo di egoismo che il virus ha fatto sparire. Ci si sente più uniti nel pericolo, si fa barriera comune, ci si dà reciproca forza, come quelle barriere di scudi che i soldati delle Legioni romane alzavano di fronte al nemico. Ed i giorni passano sempre uguali, non ha un senso la domenica, come non ha un senso il lunedì o il venerdì, senza i camioncini del mercato parcheggiati in caserma, senza i “posteggiatori” che ti chiamano Capo, senza l’amico da salutare per strada, senza il caffè nel solito posto, senza tutti quei gesti che si facevano d’abitudine, cose di tutti i giorni. Ora anche un terrazzo un poco più grande diventa una risorsa. Anche il portare in cortile l’immondizia, con tutte le cautele per non incontrare nessuno, diventa un momento di libertà, pochi minuti strappati alla prigione, pochi minuti per respirare una città deserta, quasi addormentata, quasi indifferente ai nostri sentimenti, ai nostri dubbi ed alle nostre paure. 
Pier Marco Gallo





Diariovirus 

DIARIOVIRUS 
Potrebbe essere qualcosa di utile da fare stando in casa in questi lunghi giorni o settimane che ci separeranno dal momento nel quale questa pandemia darà segni di cedimento. Un diario, un caro vecchio diario, ora per molti in forma diversa dalla tradizionale agenda con la sequenza dei giorni. Raccogliere ogni settimana come molti lettori del giornale avranno trascorso le loro giornate tornerà utile a molti poiché la fantasia italica non ha davvero confini e nelle situazioni più serie, come l’attuale, la fantasia sa sempre trovare nuovi modi per passare il tempo, per scandire delle giornate che altrimenti sarebbero noia, cibo e televisione. Raccontare delle nostre paure, dei momenti di sconforto, dello stato d’animo, dei problemi che ci si è trovati ad affrontare specie i più anziani, sarà lo specchio di questa società al momento reclusa entro le case, forzatamente reclusa per evitare tragedie che ormai sono all’ordine del giorno e che puntualmente verso le 18 sulle reti tv entrano nelle nostre case. Dietro all’aridità dei numeri, che spaventano, ma poi neppure più di tanto sino a che non ci “picchiano” vicino, ci sono famiglie, affetti, consuetudini che sino a ieri neppure tenevamo in conto. Cose preziose che oggi ci mancano, delle quali oggi sentiamo la privazione e delle quali in un ieri neppure troppo lontano neppure ci accorgevamo. La consuetudine aveva in parte ucciso queste cose che tanto ci mancano, quella consuetudine che ci portava ad uscire la sera ad abbracciare gli amici, a consumare una pizza insieme, a discutere di calcio, di ciclismo, di politica, ognuno di noi conscio di avere trovato la quadra di ogni cosa, la soluzione per ogni problema .Siamo soli, adesso, con la nostra famiglia e con gli affetti più cari, siamo soli a contare le giornate, a controllare la dispensa, il frigo, il congelatore per verificare se abbiamo di che nutrirci, se abbiamo anche un qualcosa in più che possa sopperire a questa mancanza di contatti umani.

Ognuno di noi avrà certamente la sua soluzione al problema, il suo personale modo di approcciarsi a tanti giorni di solitudine casalinga, gioendo di cantare a squarciagola la canzone che i social hanno stabilito per quel giorno. Cantare con gli altri alla stessa ora per darci forza e magari farci bonariamente mandare a quel paese dal vicino la cui febbre ha magari sfiorato quella soglia oltre la quale potrebbe celarsi la malattia, quella soglia che ormai, ne siamo certi, separa da questa semi normalità dall’abisso poiché diciamocelo chiaro in ospedale non si va e non ci sarebbe neppure posto ed altri aiuti sarà sempre più difficile trovarne. Ecco cosa si potrebbe scrivere in un diario sequenza di questi giorni davvero strani, surreali, quasi non vissuti, tutti eguali sabati martedì domeniche. Tutti in un’alternanza di sonno e di veglia, di paura e di speranza. La speranza ecco un’altra bella parola, quella speranza che non dovrebbe mai lasciarci, che ci dovrebbe accompagnare verso il futuro, che non potrà certo essere sempre come l’oggi. E poi se proprio la nostra fantasia e la nostra mente sono aride, pensiamo ai medici, agli infermieri, a tutti gli operatori delle Pubbliche Assistenze: la nostra Croce Rossa, la Bianca e la Misericordia che sono con i sanitari in prima linea, dentro una trincea a combattere un nemico invisibile che non spara, ma colpisce che non urla ma uccide. Sono loro, con tutti i Volontari che stanno al fronte, che combattono per noi vecchi o giovani che si sia, sani o di salute cagionevole che ci troviamo ad essere in questo momento. Pensiamo spesso anche a loro e mandiamo al nostro giornale la storia delle nostre giornate. Magari avranno il tempo di leggerle e di capire che gli vogliamo bene, che siamo con loro anche dentro le nostre case, come caldamente da ogni parte ci raccomandano. La stupidità non paga ed anche la superficialità non paga, non dovrebbe farci star bene con noi stessi perché facciamo rischiare anche chi è senza colpa anche chi sta rintanato nella propria casa, poiché con i nostri errati comportamenti gli allunghiamo questa prigionia e lo allontaniamo da una normalità che mai come oggi ci sembra importante. 
Pier Marco Gallo

Diariovirus 1

FERMI I PODISTI ACQUESI

Deserta la città per l’attuale normativa atta a contrastare il propagarsi del coronavirus che impedisce qualsiasi attività all’aria aperta ed anche gli spostamenti se non per necessità quali il lavoro, la spesa appuntamenti non differibili. Ancora, per ora, tollerato portare il cane fuori per un breve tempo e pochissime altre cose. In questa surreale atmosfera pensare di andare a correre, anche solo per svagarsi, diventa un esercizio mentale difficile anche per rispettare le tante persone che per vari motivi sono in sofferenza per questo stato di cose. Si potrebbero raccontare, come una volta in inverno, davanti al camino, le “imprese” dei nostri atleti dal “mitico” Paolino Zucca da sempre punto di riferimento del podismo termale a Beppe Chiesa che anni fa aveva fortemente voluto dare alla città una seconda Società Sportiva dopo quell’A.T.A. che negli anni ’70 il mitico Prof. Sburlati aveva fondato con altri appassionati tra i quali l’altrettanto mitico Agostino Alberto la AL002, l’A.T.A. appunto. Maratone corse, tempi migliori, eccellenze sotto le tre ore sui poco più di 42 km, tutto passa in secondo piano, tutto si appoggia sui ripiani degli scaffali di casa in attesa di ritornare a fare bella mostra di se nelle cronache nostrane. Si ferma il Circuito Alto Monferrato che il bravo ed appassionato Stellio Sciutto, ormai più di tre lustri fa, aveva ideato e portato a compimento, andando a portare il podismo nei nostri paesini collinari, in quei paesini che nei primi tempi si stupivano nel vedere giovani donne e uomini cimentarsi su salite e discese su sterrati, anche in giornate nelle quali la calura sembrava poter fermare tutto o l’imminente arrivo della neve a dare un tocco magico alle tante divise colorate che si rincorrevano sino al traguardo che offriva una bevanda calda in inverno e magari qualche fetta di “pateca” in estate. Vorticoso susseguirsi di ricordi per tutti coloro, e sono tanti, che avevano fatto del correre quasi una ragione di vita, quasi un modo di essere e, persino, di distinguersi da quei coetanei che gli anni trasformavano in donne o uomini ”rotondetti” e quasi increduli di vedere dei coetanei ancora in piena efficienza. A volte una invidia mascherata da una critica bonaria: “Ma chi te lo fa fare! Mica te lo ordina il medico di ammazzarti a correre tutte le domeniche!” Eccolo quel modo ora sospeso in attesa che il coronavirus passi via possibilmente senza danni, possibilmente con l’augurio di ritrovarci tutti, magari a fine estate o giù di li, di ritrovarci proprio tutti anche i meno giovani i settantenni ed oltre, quelli che oggi sarebbero a rischio maggior di andare a correre oltre le nuvole. Torneremo, si, torneremo tutti a cercare la gara più bella, quella più lunga, quella con il pacco gara migliore, torneremo ad invidiare bonariamente l’amico coetaneo o quasi che ieri avevamo battuto e la domenica dopo ci è arrivato davanti in un giuoco senza fine. Ecco perché dobbiamo superare il coronavirus, superare questo malefico intruso che ci ha portato via una delle cose più belle del nostro tempo libero. Adesso siamo in casa, obbligati, ma è giusto così. Poi ci rifaremo, caro coronavirus, o se ci rifaremo, rispettandoti perché hai corso veloce come mai noi abbiamo saputo fare, ma te ne andrai avanti da solo a tagliare un traguardo che nessun Giudice mai ti riconoscerà, a prenderti una vittoria “sporca” senza podio e senza premi e, soprattutto senza che nessuno ti applauda.
 Pier Marco Gallo